Crisi d’impresa: il trattamento dei debiti tributari nel nuovo correttivo d.lgs n. 136/2024

Crisi d’impresa: il trattamento dei debiti tributari nel nuovo correttivo
L’articolo illustra, con riferimento a ciascuna delle procedure del codice della crisi, le novità apportate dal correttivo n. 136 del 2024 al trattamento dei debiti tributari.

L’ultimo correttivo al codice della crisi, di cui al d.lgs. n. 136 del 2024, è intervenuto con numerose integrazioni e modifiche in merito al trattamento dei debiti verso il Fisco e verso gli Enti previdenziali ed assistenziali. In attesa della preannunciata riforma del sistema tributario, sebbene la c.d. transazione fiscale non possa più considerarsi istituto d’eccezione nella gestione della crisi e dell’insolvenza, la disciplina di tali debiti si pone pur sempre in rapporto di specialità rispetto a quella generale e di tanto l’interprete dovrà necessariamente tener conto.

Con queste cautele, si propone l’esame dell’Istituto nelle singole procedure.
Composizione negoziata (art. 23 comma 2-bis CCII)

Già prima dell’ultimo correttivo, il legislatore, con l’evidente fine di incoraggiare il ricorso alla composizione negoziata della crisi, aveva previsto, con l’art. 25-bis CCII, una serie di misure premiali volte ad “alleggerire” il carico tributario. Il correttivo, rispondendo ad una precisa richiesta del mondo imprenditoriale, sostenuta dall’approccio favorevole della dottrina, ha consentito, con l’introduzione del comma 2-bis nell’art. 23, la conclusione con il Fisco di un accordo per il pagamento parziale e dilazionato dei debiti e relativi accessori.

Sul punto, vale la pena evidenziare, quanto ai soggetti cui è rivolta la disposizione, che ne sono rimasti esclusi gli Enti di assistenza e previdenza (coinvolti, invece, in altre procedure), sebbene non se ne intenda la ragione, non potendo, all’evidenza, ravvisarsi la stessa nello scarso gradimento dell’istituto di nuovo conio.

Sul piano oggettivo, invece, (oltre ai tributi degli enti territoriali esclusi in tutte le procedure) restano fuori dalla trattativa anche i tributi che costituiscono risorse proprie dell’Unione europea tra i quali, tuttavia, è bene ricordare che non rientra l’Iva.

L’accordo con il Fisco, nella formulazione letterale della disposizione, non è soggetto ad ulteriori limiti; però, la convenienza della proposta rispetto all’alternativa della liquidazione giudiziale – oggetto della relazione di un professionista indipendente – va considerata (in questa come nelle altre procedure che prevedono analogo limite) come pre-requisito. Ne consegue che, sebbene il controllo del Tribunale, chiamato ad autorizzare l’esecuzione dell’accordo o a dichiararlo privo di effetti, è, per opinione comune, meramente formale, è quanto meno dubbio che possa superare il filtro un’intesa che non soddisfi la detta condizione. Ciò pone il problema se il Tribunale debba fermarsi alla verifica dell’esistenza della attestazione o possa esaminare nel complesso la relazione ed esprimere il proprio dissenso sulla valutazione ivi contenuta. Trattasi, per altro, di scenario non improbabile; l’accesso alla composizione negoziata, infatti, è consentito anche in fase di c.d. pre-crisi, sicché il professionista indipendente è chiamato ad esprimersi sull’alternativa liquidatoria in via di pura astrazione ed in una situazione per sua natura mutevole.

Per espressa disposizione, l’accordo si risolve di diritto, oltre che in caso di inadempimento (tipizzato come non esecuzione integrale entro sessanta giorni dalle scadenze previste) anche in caso di liquidazione giudiziale, liquidazione controllata o di accertamento dello stato di insolvenza. Ciò vuol dire che il medesimo, invece, persiste in tutti gli altri casi e, quindi, anche ove la composizione negoziata sfoci in una delle soluzioni di cui all’art. 23, comma 2, CCII. Tra queste ultime vi è il concordato semplificato, per il quale nulla è detto sul trattamento dei debiti tributari; vi è pure l’accordo di ristrutturazione dei debiti che, invece, è procedura, la quale prevede la possibilità di una transazione con il Fisco, ma ad altre condizioni. È da escludere, tuttavia, che possa verificarsi una sovrapposizione di accordi, sebbene nulla impedisce la risoluzione consensuale seguita da nuova trattativa secondo le regole applicabili alla procedura prescelta.

Concordato semplificato

Si è già detto che, nell’ipotesi in cui il concordato semplificato venga proposto all’esito della composizione negoziata, non vi è ragione di escludere che l’accordo concluso con il Fisco ai sensi dell’art. 23, comma 2-bis CCII, continui a produrre i suoi effetti, sebbene ciò ponga un problema di coordinamento con l’art. 84, comma 5. CCII, richiamato dall’art. 25sexies, comma 1, CCI, ove lo scenario liquidatorio sia mutato. Per il resto, non vi sono norme speciali per il credito tributario e ciò torva la sua giustificazione nella circostanza che nel concordato semplificato non vi è accordo con i creditori né voto di questi ultimi che restano legittimati solo ad opporsi all’omologazione.
Accordi di ristrutturazione (art. 63 CCII).

La disciplina della transazione dei crediti fiscali ed equiparati è stata oggetto di un importante ritocco con il correttivo, essenzialmente in una visione anti-abuso. Il legislatore, infatti, si è fatto carico di frapporre una barriera alla transazione fiscale per le imprese con debiti di tal tipo superiori all’80 per cento dell’indebitamento complessivo (condizione tipica delle imprese che scientemente non pagano i tributi realizzando una forma surrettizia di autofinanziamento) o derivante da condotte abusive o elusive. Deve segnalarsi, tuttavia, che l’ostacolo non è stato posto escludendo l’accesso alla procedura, bensì solo in fase di omologazione.

Negli accordi di ristrutturazione – ivi compresi quelli agevolati o ad efficacia estesa – non diversamente da quanto già rilevato nella composizione negoziata, l’unico limite resta il confronto con l’alternativa liquidatoria, sicché la proposta, secondo quanto risultante dall’attestazione dell’esperto, deve essere, rispetto a quest’ultima, conveniente nel caso di accordo liquidatorio, e non deteriore in caso di prosecuzione dell’attività di impresa.

L’Ufficio resta libero di aderire o meno all’accordo. Tuttavia, se il medesimo non ha carattere liquidatorio (e quindi nell’ottica di favorire la prosecuzione dell’attività di impresa), e se coesistono le ulteriori condizioni di cui all’art. 63, comma 4 o 5, CCII, il Tribunale può ricorrere all’omologazione forzosa laddove la mancanza di adesione o il voto contrario del Fisco o degli altri Enti sia determinante per raggiungere le maggioranze previste dagli artt. 57, 60 CCII. Il successivo comma 6 dell’art. 63, precisando i casi in cui le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 non si applicano, esclude, tuttavia, il c.d. cram down, oltre che nei casi in cui nei cinque anni precedenti l’imprenditore abbia concluso accordi poi risolti di diritto (salva la rinegoziazione o modifica del piano) in tutte quelle ipotesi che possono genericamente ricondursi al comportamento fiscalmente scorretto.

L’interpretazione letterale del comma 6, in rapporto ai commi 4 e 5, dell’art. 63 CCII porta a concludere che resta preclusa la sola omologazione forzosa, ma non l’omologazione dell’accordo al quale l’Ufficio abbia eventualmente ritenuto di aderire. Deve ritenersi, pertanto, che il legislatore, pur in presenza di condotte elusive ed abusive abbia preferito lasciare libere le Amministrazioni di accettare una proposta che appaia conveniente.

La transazione fiscale conclusa in sede di accordi di ristrutturazione è volta a stabilire in modo consensuale il trattamento da riservare al credito tributario; non nasce, invece, come strumento per determinarne il carico. Quest’ultimo, infatti, viene individuato a seguito dell’attività di ricognizione demandata agli Enti competenti, ivi incluso l’Agente della Riscossione, dall’art. 88, comma 5 CCII richiamato dall’art. 63 comma 2 CCII. La transazione, quindi, a dispetto del termine, ben potrà avvenire anche su crediti contestati o sub judice che tali rimarranno, non essendo previsto il c.d. “consolidamento” del debito fiscale. Resta salva la facoltà per le parti di ricorrere agli strumenti previsti dalla disciplina tributaria (o previdenziale) per giungere consensualmente anche alla determinazione definitiva del debito controverso nel giudizio pendente o prima della sua introduzione.

La transazione, per espressa previsione dell’art. 36 primo comma, CCII, riguarda i tributi, contributi e premi sorti prima della presentazione della proposta. Poiché, non vi è alcuna decadenza dal potere impositivo, può accadere che dopo la stessa sorgano altri debiti; questi, pertanto, resteranno fuori dal perimetro dell’art. 63 CCII, dovendosi escludere che i medesimi possano rientrare nella detta disciplina né come oggetto della transazione né come crediti sui quali non si è raggiunto l’accordo.

Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64-bis, comma 1-bis CCII).

Il correttivo è intervenuto anche sul piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione, inserendo il comma 1-bis dell’art. 64-bis CCII.
Anche in questo caso, unico pre-requisito è l’attestazione da parte del professionista indipendente che il trattamento offerto non è deteriore rispetto all’alternativa liquidatoria.
L’istituto ha natura negoziale e si caratterizza per la necessità del voto favorevole di tutte le classi. Ciò spiega perché non sia stata contemplata alcuna forma di omologazione forzosa.

Concordato minore (art. 74 CCII)

Il legislatore del correttivo non ha ritenuto di dettare una specifica disciplina della transazione fiscale nell’ambito del concordato minore. Persistono, pertanto, i dubbi già evidenziati prima dell’ultimo intervento e derivanti dal generico rinvio di cui all’art 74, comma 4, CCII alle norme dettate per il concordato preventivo, per quanto non espressamente disciplinato.

La maggiore incertezza nasce dal rilievo che nell’ambito del concordato preventivo è espressamente e minuziosamente disciplinata la transazione fiscale. L’integrale richiamo trova, tuttavia, un ostacolo nella disciplina specifica dettata dall’art. 80 comma 3, CCII per l’omologazione forzosa del concordato minore. Ciò pone il dubbio se per quanto non previsto possa procedersi a transazione fiscale seguendo il procedimento di cui all’art. 88 CCII.
La transazione fiscale nel concordato preventivo, tuttavia, si innesta sul classamento obbligatorio dei crediti fiscali e tributari di cui all’art. 85, comma 2. CCII che è in conflitto con l’art. 74, terzo comma CCI il quale, a seguito del correttivo, prevede che la formazione delle classi è obbligatoria “solo” per i creditori titolari di garanzie prestate da terzi.
Concordato preventivo (art. 88 CCII).

La transazione fiscale nel concordato preventivo è istituto consolidato e già sperimentato nella vigenza della legge fallimentare mediante l’introduzione dell’art. 182-ter. Il correttivo, tuttavia, è intervenuto con numerose modifiche volte, soprattutto, a chiarire i dubbi interpretativi sorti.

In primo luogo, è acclarato che la transazione fiscale può intervenire anche nel concordato in continuità e che, ferma restando la necessità di assicurare un trattamento non inferiore a quello liquidatorio, prevalgono le regole distributive di cui all’art. 84, commi 6 e 7. CCII (criterio della priorità assoluta per il valore di liquidazione e della priorità relativa per quello eccedente, nessun vincolo per la finanza esterna). A ciò si aggiunge la necessità per i crediti privilegiati di assicurare un trattamento non inferiore ai crediti di pari rango o a quelli caratterizzati da posizione giuridica e interessi economici omogenei e, per i crediti chirografari (originari o degradati), di assicurare un trattamento non differenziato e, nel caso di divisione in classi, pari alla classe meglio trattata.

Il correttivo ha risolto anche i dubbi relativi al coordinamento della ristrutturazione trasversale con il cram down. È stato, pertanto, scongiurato il rischio che, a seguito di quest’ultimo, possa essere approvato un concordato risultato sgradito a tutte le classi. Si è precisato, infatti, che ai fini delle condizioni previste dall’art. 112, comma 2, lett. d) numeri 1 e 2 CCII l’adesione dei creditori pubblici deve essere espressa.

La transazione può intervenire su crediti contestati. Il correttivo, tuttavia, ha omesso di creare un collegamento tra l’art. 108 CCII e l’art. 90 d.P.R. n. 602 del 1973 in materia di riscossione di imposte dirette ed anche di aggiornare i desueti riferimenti alla legge fallimentare. Resta, pertanto, tuttora previsto da detta ultima disposizione che, se sulle somme iscritte a ruolo sorgono contestazioni, il credito è comunque inserito in via provvisoria nell’elenco ai fini previsti agli articoli 176, primo comma l fall. (attuale art. 108 CCII) e 181, terzo comma, primo periodo l. fall. (attuale art. 118, comma 2 CCII). Ciò vuol dire che l’ammissione al voto ed i conseguenti accantonamenti sono obbligatori. La regola, invece, non si estende ai debiti non iscritti a ruolo e agli altri tributi, contributi e premi per i quali continuano ad operare le disposizioni generali.
Concordato nella liquidazione giudiziale (art. 245, comma 5, CCII).

La disciplina del concordato nella liquidazione giudiziale non prevede per la transazione con il Fisco un procedimento analogo a quanto disposto per il concordato preventivo.

Il correttivo è intervenuto solo sull’art. 245, comma 5, CCII, disciplinando le regole dell’omologazione ne caso in cui l’Amministrazione finanziaria o gli enti equiparati abbiano reso voto negativo. Nell’ipotesi, infatti, di non voto, opera la regola generale di cui all’art. 244, comma 2, CCII per la quale il silenzio equivale a consenso. Nel caso, invece, di voto espresso e negativo, che sia determinante per il raggiungimento delle maggioranze necessarie all’approvazione, ma a condizione che la proposta risulti conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria anche in ragione di quanto attestato dal professionista indipendente, è possibile il cram down.

La mancanza di regole specifiche per il trattamento dei crediti tributari – e in particolare l’omessa precisazione, presente nelle altre procedure, che si può proporre il pagamento parziale o dilazionato – e quindi, deve ritenersi, non altre forme di soddisfazione del credito – pone l’interrogativo se nel concordato fallimentare anche al creditore pubblico possano offrirsi le soluzioni previste dall’art. 240, comma 2, lett. c) CCII. Appare, tuttavia, ipotesi distonica ed anche poco praticabile.

Concordato di gruppo (art. 284-bis CCII)

La definizione di gruppo di imprese è contenuta nell’art. 2, comma 1, lett. h) CCII ed a quest’ultima si aggancia il complesso di norme (artt. 284 ss. CCII) volte a regolare la crisi o l’insolvenza del medesimo.

Il correttivo ha completato il quadro occupandosi espressamente del trattamento dei crediti tributari e contributivi con l’introduzione dell’art. 284-bis CCII con riferimento agli accordi di ristrutturazione, al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione ed al concordato preventivo. L’elemento caratterizzante è che è prevista la possibilità di una proposta unitaria, ma ferma restando l’autonomia delle masse attive e passive. La disposizione, pertanto, è in linea con il disposto di cui all’art. 284, commi 1, 2e 3, CCII.

Quanto al concordato nella liquidazione giudiziale, il correttivo ha chiarito, introducendo il comma 4-bis nell’ art. 240 CCII, che si tratta di strumento anche a disposizione del gruppo per il quale si sia aperta una procedura di liquidazione unitaria. Ciò comporta che varranno anche in tale ipotesi le regole specifiche dettate dall’art. 245, comma 5, CCII.

Stesse considerazioni valgono per l’ipotesi di composizione negoziata avviata dal gruppo ai sensi dell’art. 25 CCII. Nulla, infatti esclude la formulazione di una proposta di accordo transattivo unitaria.

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