Il piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore e la moratoria ex art. 67 co 4, lett. b) CCII

L’articolo 19 del decreto legislativo contiene le modifiche apportate alla Parte Prima, Titolo IV, Capo II, Sezione II del Codice della crisi d’impresa, recante disposizioni sulla Ristrutturazione dei debiti del consumatore.

 

Il comma 4 ha apportato nell’ultimo periodo la reintroduzione sull’ammissibilità della moratoria per il pagamento dei crediti privilegiati o garantiti stabilendone la durata in due anni, come già vigente la legge n. 3/2012 era prevista all’art. 8, co 4 per la durata di anni uno.

L’ampliamento del termine è finalizzato a consentire la ristrutturazione dei debiti prevedendo quale contraltare la tutela delle ragioni dei creditori in quanto l’omologazione del piano non richiede il consenso (voto) dei creditori. L’assenza di una manifestazione del consenso per l’omologa trova il proprio contemperamento nella previsione normativa della attribuzione degli interessi legali durante la moratoria.

 

Il limite invalicabile, così come ribadito dal periodo citato dell’art. 67 co 4, premessa la possibilità di falcidiare i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca, consiste nella non travalicabilità della falcidia tale da garantire il pagamento del credito privilegiato in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, dei beni e dei diritti oggetto della causa di prelazione, come attestato dall’OCC. Tale principio generale è presente in tutte le norme che disciplinano le procedure concordatarie.

 

La moratoria è prevista anche nell’articolo 86 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che disciplina il concordato preventivo, ove è prevista la possibilità di una moratoria, nel concordato in continuità, per il pagamento dei creditori muniti di pegno, privilegio e ipoteca.

 

Tale moratoria può raggiungere i due anni dall’omologazione, a meno che non sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione; anche in questo caso vi è stato un ampliamento di durata rispetto alla previgente previsione disciplinata dall’articolo 186 bis della Legge Fallimentare 2° comma lett. c), che prevede invece il limite massimo di un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di un diritto di prelazione.

 

L’articolo 86 CCII prevede che, in caso di moratoria, i creditori coinvolti abbiano diritto al voto nel limite della differenza fra il loro credito, maggiorato degli interessi di legge, e il valore attuale dei pagamenti previsti nel piano, alla data di presentazione della domanda, sulla base di un tasso di sconto pari alla metà del tasso di cui all’articolo 5 D.Lgs. 231/2002, in vigore nel semestre di presentazione della domanda di concordato preventivo. Sulla base di tale previsione, il creditore privilegiato vota per la parte del credito che, a causa della dilazione nel pagamento, subisce una svalutazione.

 

L’articolo 62 CCII disciplina la convenzione di moratoria, che può essere conclusa tra un debitore, anche non commerciale, e i suoi creditori. Questa convenzione può includere la dilazione delle scadenze dei crediti, la rinuncia agli atti o la sospensione delle azioni esecutive e conservative.

 

Ciò su cui non bisogna fare confusione è il significato terminologico di moratoria e pagamento rateale dei crediti concorsuali; sono due strumenti distinti utilizzati nel contesto delle procedure concorsuali per gestire i debiti, ma presentano differenze significative:

  1. Moratoria:
    • Definizione: La moratoria implica la sospensione temporanea del pagamento dei debiti. È una misura straordinaria che rinvia le scadenze delle obbligazioni.

 

  1. Pagamento rateale dei crediti concorsuali:

 

    • Definizione: Il pagamento rateale prevede la suddivisione del debito in rate, permettendo al debitore di pagare gradualmente nel tempo.
    • Applicazione: È una soluzione utilizzata pressochè in tutte le procedure concordatarie.
    • Durata: La durata del pagamento rateale è solitamente più lunga e flessibile, dipendendo dagli accordi specifici tra le parti.

In sintesi, mentre la moratoria sospende temporaneamente i pagamenti, il pagamento rateale li dilaziona nel tempo, permettendo una gestione più sostenibile del debito.

Si veda sul punto la sentenza n. 256 del 12/12/2024 Estensore dott. Francesco Paolo Feo Tribunale di Napoli.

” Sotto tale ultimo profilo, va subito evidenziato che l’attuale comma 4 dell’art. 67 CCII prevede la possibilità “che i crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca possano essere soddisfatti non integralmente, allorchè ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, dei beni e dei diritti oggetto della causa di prelazione, come attestato dall’OCC. La proposta può prevedere, per i crediti di cui al primo periodo, una moratoria fino a due anni dall’omologazione per il pagamento e sono dovuti gli interessi legali”. Tuttavia, sotto quest’ultimo profilo, il piano non prevede tale invocata moratoria, prevedendo il pagamento rateale in n. 108 rate di pari importo, il cui pagamento avviene immediatamente a partire dall’omologa del piano, per un rientro complessivo di €. 78.484,96.”

Con il termine moratoria, nel linguaggio giuridico, si dovrebbe intendere la sospensione della scadenza delle obbligazioni, disposta con provvedimento legislativo, in via eccezionale e con riferimento a eventi straordinari, tali da turbare il normale svolgimento dei rapporti economici e sociali. La moratoria dovrebbe rappresentare un rinvio, un differimento, una sospensione del pagamento o dell’obbligo.

A riguardo, a livello normativo si può richiamare il D.L. n. 83/2012 (convertito con L. n. 134/2012), che all’art. 26 prevede la sospensione per dodici mesi del pagamento della quota capitale dei finanziamenti ed espressamente si intitola “Moratoria delle rate di finanziamento dovute dalle imprese concessionarie di agevolazioni” o ancora l’art. 65 del D.L. 104/2020, che si intitola appunto “Proroga moratoria per le PMI ex articolo 56 del decreto-legge n. 18 del 2020” e prevede la sospensione dei pagamenti per le imprese colpite dalla epidemia COVID. La sospensione dei pagamenti, qualificata appunto come moratoria, è stata confermata e prorogata dalla Legge di bilancio per il 2021 (L. n. 178/2020) all’art. 1 commi 248 e 249. Anche la Suprema Corte, con la sentenza n. 729/2019, qualifica espressamente la moratoria quale esenzione dal pagamento per un tempo determinato.

La funzione della moratoria, quale sospensione del pagamento, pertanto, dovrebbe essere quella di concedere al debitore un periodo determinato di tempo nel quale riorganizzare i flussi attivi in funzione del miglior soddisfacimento dei creditori. In tale prospettiva la moratoria dei crediti privilegiati, quale rinvio-sospensione del pagamento degli stessi, si può ritenere ben distinta dalla rateizzazione del pagamento integrale dei crediti medesimi, ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 comma 1 ed dell’art. 8 comma 1 della legge 3/2012, nonché dell’art. 67 co 4 CCII, ove si prevede espressamente la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, potendosi declinare le scadenze e le modalità di pagamento dei crediti nella maniera più funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori secondo le oggettive possibilità del debitore.

Assimilare la moratoria alla rateizzazione del pagamento integrale del debito, vorrebbe dire snaturare la struttura e la funzione della moratoria, quale sospensione/esenzione temporanea dal pagamento, contraddicendo la ratio e lo stesso spirito della norma, rendendo di fatto residuale e quasi del tutto inutilizzabili gli strumenti di regolazione della crisi, imponendo una rateizzazione assolutamente breve – 24 mesi – a scapito degli stessi interessi dei creditori, che ben potrebbero valutare conveniente ricevere il pagamento dell’intero credito rateizzato, piuttosto che liquidare i beni del debitore. In una fase di crisi, come quella affrontata in un procedimento di sovraindebitamento, una rateizzazione che potesse durare solamente un anno, a fronte di debiti quasi sempre con scadenza ultradecennale, equivarrebbe chiaramente a non concedere alcuna rateizzazione.

Si potrebbe osservare ancora come l’ambito di qualificazione giuridica della moratoria, quale sospensione/esenzione temporanea dal pagamento, difficilmente possa sovrapporsi a quello di pagamento integrale, anche se rateizzato, del credito, essendo la moratoria e la rateizzazione istituti giuridici con natura giuridica e causa distinte, dal momento che la moratoria non potrebbe mai rappresentare un pagamento, mentre la rateizzazione risulta essere a tutti gli effetti un pagamento dell’obbligazione.

 

Un piano del consumatore o un accordo di ristrutturazione del debito con continuità aziendale ben potrebbero, inoltre, prevedere un periodo di moratoria, quale sospensione dei pagamenti (magari anche solo per gli interessi passivi o il solo capitale) a cui potrebbe seguire un pagamento rateale dell’intera somma dovuta, anche maggiorata di eventuali interessi, combinando quindi la moratoria-sospensione del pagamento con il pagamento rateale.

 

Cass. 4451/2018 aveva assunto una posizione intransigente sul punto, con una piena sovrapposizione dei due termini – rateizzazione e moratoria -. Tale interpretazione avrebbe comportato verosimilmente, se fosse stata ulteriormente coltivata e condivisa, al blocco di buona parte delle procedure di sovraindebitamento. Imporre ad un soggetto già in grave difficoltà il pagamento in due anni dei crediti privilegiati, rappresentati per lo più da crediti derivanti da mutui ipotecari e quindi da rapporti di durata di una certa consistenza, significherebbe di fatto impedire allo stesso soggetto di accedere alla procedura medesima. Nella maggioranza dei casi, infatti, il debitore virtuoso con una procedura di sovraindebitamento ha come obbiettivo proprio quello di mantenere in essere il pagamento delle rate del debito ipotecario o rimodulare il medesimo in termini di riscadenzamento delle rate, allo scopo di pagare i propri debiti, ma al contempo salvare il proprio patrimonio immobiliare, almeno in parte, almeno il bene rappresentato dalla abitazione principale o dal cespite essenziale per la propria attività.

La possibilità di prevedere una moratoria, intesa quale sospensione del pagamento delle rate in conto capitale e/o interessi per il termine concedibile, può risultare assai utile a rimettere in carreggiata il debitore, ad aiutarlo a ricalibrare i flussi attivi necessari per l’adempimento del piano.

Intendere la moratoria alla stregua di una semplice dilazione, imponendo la rateizzazione ammissibile in soli due anni, trasformerebbe tale previsione in una sorta di ghigliottina inesorabile, accompagnando il debitore direttamente alla liquidazione controllata. D’altro canto, non si vede il motivo – la ratio – che dovrebbe imporre di interrompere un rapporto obbligatorio in bonis, come potrebbe essere un mutuo ipotecario, con regolari pagamenti delle rate alle scadenze previste ed anche in caso di un rapporto obbligatorio di durata, nel quale il debitore risulti in parte inadempiente, perché in ritardo con il pagamento delle rate, tale rapporto potrebbe essere rimodulato dalla procedura di sovraindebitamento, prevedendone, nei termini previsti dal piano, l’integrale pagamento.

Volendo valutare l’alternativa liquidatoria, stante il fisiologico e pesante deprezzamento del bene alienato in fase di liquidazione, sarà quasi sempre preferibile una procedura di regolazione della crisi, che preveda la piena soddisfazione del creditore ipotecario e nel quale il debitore sarà spronato a rispettare il piano ad ogni costo, ben sapendo che l’alternativa liquidatoria imporrebbe la perdita del bene immobile da liquidare, molto spesso rappresentato dalla propria abitazione. Per questa via, a ben vedere, si attua lo stesso meccanismo virtuoso rappresentato dalla conversione del pignoramento che permette, se rispettato, ad entrambe le parti di avere piena soddisfazione delle proprie ragioni: al creditore di rientrare interamente del proprio credito, comprensivo di tutte le spese e degli interessi, al debitore di salvare il proprio bene dalla aggressione del creditore, avendo la possibilità di pagare il credito con una modalità che concretamente gli permetta di adempiere alle proprie obbligazioni, pur se in difficoltà, trattandosi appunto di una rateizzazione del credito e non di una moratoria – sospensione del pagamento.

Si richiamano, a conferma di tale possibile ricostruzione, le recenti sentenze della Suprema corte.

La decisione della Suprema Corte, Cass., Sez. I, n. 17834/2019, riguarda una proposta di accordo di composizione della crisi, senza continuità aziendale, nella quale si era proposto di proseguire il pagamento del credito ipotecario secondo le scadenze pattuite, mantenendo in essere il piano di ammortamento del mutuo ipotecario della durata di 16 anni. La decisione della Suprema Corte valorizza al massimo grado il principio di libertà delle forme di ristrutturazione e soddisfazione del credito richiamando la giurisprudenza formatasi in tema di concordato preventivo, in riferimento all’art. 186-bis secondo comma lett. c) LF, dichiarando ammissibile una dilazione pluriennale del pagamento dei creditori ipotecari, ferma restando la necessità di assicurare agli stessi il voto. La stessa Corte precisa, inoltre, che anche per il piano del consumatore possano essere previste appropriate forme di manifestazione di volontà cui associare la tutela del creditore. La Corte conclude sottolineando come siano i creditori a dover valutare la convenienza della proposta, implicante i pagamenti dilazionati, rispetto a possibili alternative di soddisfacimento.

Si vuole qui evidenziare un’ulteriore decisione della Suprema Corte, Cass., Sez. I, n. 27544/2019, che riguarda un piano del consumatore, per il quale si era proposto di pagare il credito ipotecario in 12 anni. La Corte richiama espressamente il principio espresso dalla sentenza n. 17834/2019, secondo il quale negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani del consumatore, è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dalla L. n. 3 del 2012, art. 8, comma 4, ed al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme ad essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data ad essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore. La Corte si sofferma anche sul punto, forse maggiormente controverso, della durata del piano, 12 anni appunto, chiarendo esaustivamente quali siano gli interessi in gioco ed il loro delicato equilibrio, sottolineando come non possa aprioristicamente escludersi che gli interessi del creditore risultino meglio tutelati con un piano del consumatore, che pur preveda una dilazione di significativa durata (anche superiore ai 5-7 anni), piuttosto che per mezzo della vendita forzata dei beni del patrimonio del debitore. La Corte prosegue enucleando chiaramente la questione: ogniqualvolta il piano preveda il pagamento integrale del debito, tale soluzione potrà ben essere valutata favorevolmente dai creditori, ben sapendo gli stessi che il patrimonio del debitore, aggredibile tramite esecuzione forzata, molto spesso non risulta in grado di soddisfare integralmente le loro ragioni, tenuto conto di quanto gravano nelle esecuzioni forzate gli oneri e costi delle procedure e le endemiche ed inevitabili svalutazioni dei cespiti liquidati. Prosegue la Corte: “si pensi alla vendita forzata dell’unico bene di rilievo il cui valore sia pari od inferiore all’ ammontare dei debiti. Come è noto, infatti, con la vendita all’incanto, ed in particolare quella di beni immobili, è difficile ricavare una somma maggiore o pari al valore di stima degli stessi, ma anzi, generalmente, il creditore ottiene una somma anche inferiore (spesso di molto) rispetto a tale valore, sia perché gli offerenti alle aste si avvalgono sovente della facoltà, prevista dall’art. 571 c.p.c., comma 2, di offrire un corrispettivo ridotto fino ad un quarto rispetto al prezzo base, sia a causa della decurtazione dei costi della procedura dal ricavato.”

La Corte, ancora, evidenzia e valorizza la ratio della legislazione in tema di sovraindebitamento, sottolineando come l’adozione di un’interpretazione eccessivamente restrittiva, che neghi l’ammissibilità di piani di durata ultra quinquennale, rischi di minare l’effettività di tali strumenti, mal conciliandosi con il processo in atto a livello Europeo di cambiamento della cultura giuridica a favore della logica del salvataggio e della seconda possibilità (second chance), rammendando come la legge n. 3 del 2012, ripresa e ampliata nel CCII, sia stata introdotta non soltanto sulla spinta delle istituzioni Europee, ma anche al fine di arginare il fenomeno, particolarmente avvertito all’interno del nostro Paese, ossia il ricorso al mercato dell’usura da parte di imprenditori o consumatori sovraindebitati.

Infine, la Corte si sofferma sul principio della convenienza, che deve essere necessariamente oggetto di valutazione da parte dei creditori, richiamando la Cassazione n. 17834 del 2019: “Sono, difatti, i creditori a dover valutare se, in simili ipotesi, un piano del tipo di quello indicato, implicante pagamenti dilazionati, sia, o meno, conveniente a fronte delle possibili alternative di soddisfacimento.” Tale principio sembra essere dirimente sulla questione: il pagamento dilazionato non può essere tout court assimilato ad una soddisfazione non integrale del credito ed in ogni caso tale valutazione deve essere oggetto di esame esclusivamente da parte del ceto creditorio.

L’ulteriore decisione conforme della Suprema Corte, Cass., Sez. I, n. 17391/2020, riguarda una proposta di accordo di composizione della crisi, senza continuità aziendale, nella quale si era proposto di proseguire a pagare il credito ipotecario in cinque anni dalla omologazione.

Per la Suprema Corte gli accordi di ristrutturazione dei debiti, come pure i piani del consumatore, possono prevedere una dilazione del pagamento dei crediti prelatizi, purché ai titolari di tali crediti sia attribuito il diritto di voto. La dilazione, anche se di lunga durata, infatti, non pone un problema di fattibilità giuridica, ma influisce soltanto sulla valutazione di convenienza per i creditori.

Sono i creditori gli unici a dover valutare se una proposta implicante pagamenti dilazionati sia o meno conveniente rispetto alle possibili alternative di soddisfacimento.

Da ultimo, preme qui sottolineare la decisione della Suprema Corte, Cass., Sez. VI, n. 22291/2020, che si riferisce ad un piano del consumatore con una durata ultraventennale. Nel piano proposto il credito ipotecario viene ripagato secondo il piano di ammortamento previsto dal mutuo stesso. Si conferma così la massima che “negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nei piani del consumatore è possibile prevedere la dilazione del pagamento dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione previsto dall’art. 8, co. 4, della L. n. 3/2012, ed al di là delle fattispecie di continuità aziendale, purché si attribuisca ai titolari di tali crediti il diritto di voto, a fronte della perdita economica conseguente al ritardo con cui vengono corrisposte le somme ad essi spettanti o, con riferimento ai piani del consumatore, purché sia data ad essi la possibilità di esprimersi in merito alla proposta del debitore.”

Tale assunto non solo conferma quanto già indicato – la possibilità di voto per i  creditori privilegiati pagati oltre l’anno – ma aggiunge qualcosa di specifico ed innovativo per il piano del consumatore, che non prevede la fattispecie del voto, lasciando agli stessi creditori la facoltà di esprimersi sulla proposta di dilazione oltre l’anno dall’omologa del piano: in questo caso si potrebbe pensare, appunto, ad un termine fissato dal Giudice ai creditori per esprimere in forma scritta eventuali osservazioni alla proposta di dilazione.

 

 

Art. 70 co 7

Comma sostituito dall’art. 19, comma 2, lettera e) del D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136. Il comma sostituito recitava: «7. Il giudice, verificata l’ammissibilità giuridica e la fattibilità del piano, risolta ogni contestazione, omologa il piano con sentenza e ne dispone, ove necessario, la trascrizione a cura dell’OCC. Con la stessa sentenza dichiara chiusa la procedura.».

Quando uno dei creditori o qualunque altro interessato, con le osservazioni di cui al comma 3, contesta la convenienza della proposta, il giudice omologa il piano se ritiene che il credito dell’opponente può essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione controllata.

 

Art. 86 – Articolo sostituito dall’art. 19, comma 4, del decreto legislativo 17 giugno 2022 n. 83, con effetto dal 16 luglio 2022

Moratoria nel concordato in continuità (3)

  1. Fermo quanto previsto nell’articolo 109, il piano può prevedere una moratoria per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. Per i creditori assistiti dal privilegio previsto dall’articolo 2751-bis, n. 1, del codice civile può essere prevista una moratoria per il pagamento fino a sei mesi dall’omologazione.

 

Art. 87 co 1 lett. b)

 

Contenuto del piano di concordato

  1. d) le modalità di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie, ivi compresa l’attribuzione ai creditori, nonché a società da questi partecipate, di azioni, quote, ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni, o altri strumenti finanziari e titoli di debito;
  2. e) gli effetti sul piano finanziario delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta analiticamente descritti (4) nonché, in caso di concordato in continuità, il piano industriale con l’indicazione degli effetti sul piano finanziario e dei tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione economico-finanziaria

 

L’art. 21, comma 3, lettera c) del D.Lgs. 13 settembre 2024, n. 136 ha sostituito le parole: «la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta» con le seguenti: «gli effetti sul piano finanziario delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta analiticamente descritti» ed ha sostituito le parole: «riequilibrio della situazione finanziaria» con le seguenti: «riequilibrio della situazione economico-finanziaria».

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